Opere d'arte o prodotti? Il valore del "genio" in mostra
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Opere d'arte o prodotti? Il valore del "genio" in mostra
Quando, lo scorso settembre, l´indice Nasdaq stava facendo già perdere il sonno agli operatori finanziari di tutto il mondo, un file luminoso segnalava una sfrontata controtendenza: era la quotazione in borsa di Sotheby´s che stava battendo le opere di Damien Hirst, l´artista inglese degli squali sotto formalina e del teschio tempestato di brillanti venduti a cifre mai prima raggiunte da un´opera d´arte. Opera d´arte? O, ormai, puro oggetto di mercato, esattamente come il petrolio, il grano e le auto dei led del Nasdaq? Dentro una domanda del genere si condensa, si può dire, una intera frontiera culturale: la nostra. Che cos´è, oggi, un´opera d´arte? Come mai il valore dell´arte, tradizionalmente riferito all´autonomia del «genio» rispetto alla società borghese, sembra aver sempre meno a che fare con la qualità culturale intrinseca dell´opera, e sempre più, se non esclusivamente, con la sua quotazione sul mercato, con le dinamiche della domanda e dell´offerta prima applicate ai soli oggetti di consumo? Ma ancora: se è vero che ormai «valore» e «prezzo» dell´arte sono venuti a coincidere, una lettura moralistica, in termini di bene/male, del fenomeno è davvero la più adatta a leggerlo?
È intorno a questi veri e propri «circuiti» di interrogativi, in larga parte destinati a rimanere aperti, che ruota Arte, prezzo e valore - Arte contemporanea e mercato, a cura di Franziska Nori, con Piroschka Dossi, da ieri alla Strozzina (fino all´11/1), rassegna di 21 artisti contemporanei fra cui star come lo stesso Hirst, Takashi Murakami, Dan Perjovschi, passando per l´americano Marco Brambilla e l´olandese Aernout Mik, l´inglese Michael Landy e il cubano Wilfredo Prieto, gli italiani Cesare Pietroiusti e Fabio Cifariello Ciardi (in mostra il suo A BID Match, video proiezione dei famosi indici Nasdaq), che si cimentano appunto sul rapporto della loro stessa arte con la logica dominante del denaro. Un excursus coinvolgente e a tratti impietoso dentro le viscere di un mondo in continuo divenire, con artisti anche molto diversi fra loro, impegnati a coppie, nella stessa sala e sullo stesso orizzonte problematico, in un inconsapevole gioco di rimandi.
Così, ecco Grey Periodic Table Door, la porta coperta di tavole numeriche del ristorante londinese di Damien Hirst, poi fallito e tutto venduto all´asta, piatti tavole porte compresi, a prezzi ovviamente esorbitanti, «in dialogo» con One Million dollars di Prieto, banconota di un dollaro incastrata fra due specchi che, in una sorta di valorizzazione impazzita, la moltiplicano all´infinito, e assicurata dall´artista per un milione di dollari. O la videoinstallazione Middlemen dell´olandese Mik, muta panoramica del collasso personale degli operatori di borsa durante un crac, che rinvia al senso di totale assenza dell´umano di Slave City, sulla parte di fronte, città immaginaria dell´olandese van Lieshout dove vale esclusivamente la contabilità numerica. In realtà, rivela la mostra della Strozzina, le soluzioni offerte al rapporto arte/mercato sono tante quante gli artisti che le sperimentano, in un range che va dall´integrazione alla contestazione, dal gioco dissacratorio ad una auto-consegna al mercato, tanto consapevole da rivelare come arte, alla fine, nientemeno che se stessa: vedi le borse a numerazione limitata del giapponese Murakami, designer di Vuitton, diventate, come per «mutazione genetica», prima feticci del fashion system e poi vere opere d´arte. Mentre l´italiano Cesare Pietroiusti fa tutt´altro: Tremila banconote (dollari Usa) trattate con acido solforico in distribuzione gratuita, incollate su una parete e realmente a disposizione del pubblico. Pezzi unici e autografati, ma con clausola scritta: se si usano come vero denaro non valgono niente. «Maleficio d´artista» che è in realtà un perentorio invito a individuare altrove che nei soldi il senso intrinseco dell´arte.
E tuttavia, osserva Franziska Nori, «che il gesto artistico possa darsi come autonomo dal mercato, non è che un´illusione», e del resto non è mai accaduto in nessuna epoca storica. Oggi, come Andy Wharol ha capito prima di tutti, si tratterà perciò di immettere nell´opera d´arte anche questo «valore aggiunto» di creatività, applicato alla promozione di se stesso e all´individuazione del proprio «prezzo», che non riguarda solo opere materiali, ma sempre più anche idee, tempo, performance, provocazioni. E di inviare i propri (temporanei) risultati ad un circuito di scambi globali. In cui, fra l´altro, l´antico ruolo di custodi e valorizzatori culturali dell´arte sarà sempre meno dei musei e delle istituzioni pubblici, e sempre più dei privati: gallerie, collezionisti, committenti. I più dotati, per l´appunto, di soldi.
(fonte: firenze.repubblica.it)
È intorno a questi veri e propri «circuiti» di interrogativi, in larga parte destinati a rimanere aperti, che ruota Arte, prezzo e valore - Arte contemporanea e mercato, a cura di Franziska Nori, con Piroschka Dossi, da ieri alla Strozzina (fino all´11/1), rassegna di 21 artisti contemporanei fra cui star come lo stesso Hirst, Takashi Murakami, Dan Perjovschi, passando per l´americano Marco Brambilla e l´olandese Aernout Mik, l´inglese Michael Landy e il cubano Wilfredo Prieto, gli italiani Cesare Pietroiusti e Fabio Cifariello Ciardi (in mostra il suo A BID Match, video proiezione dei famosi indici Nasdaq), che si cimentano appunto sul rapporto della loro stessa arte con la logica dominante del denaro. Un excursus coinvolgente e a tratti impietoso dentro le viscere di un mondo in continuo divenire, con artisti anche molto diversi fra loro, impegnati a coppie, nella stessa sala e sullo stesso orizzonte problematico, in un inconsapevole gioco di rimandi.
Così, ecco Grey Periodic Table Door, la porta coperta di tavole numeriche del ristorante londinese di Damien Hirst, poi fallito e tutto venduto all´asta, piatti tavole porte compresi, a prezzi ovviamente esorbitanti, «in dialogo» con One Million dollars di Prieto, banconota di un dollaro incastrata fra due specchi che, in una sorta di valorizzazione impazzita, la moltiplicano all´infinito, e assicurata dall´artista per un milione di dollari. O la videoinstallazione Middlemen dell´olandese Mik, muta panoramica del collasso personale degli operatori di borsa durante un crac, che rinvia al senso di totale assenza dell´umano di Slave City, sulla parte di fronte, città immaginaria dell´olandese van Lieshout dove vale esclusivamente la contabilità numerica. In realtà, rivela la mostra della Strozzina, le soluzioni offerte al rapporto arte/mercato sono tante quante gli artisti che le sperimentano, in un range che va dall´integrazione alla contestazione, dal gioco dissacratorio ad una auto-consegna al mercato, tanto consapevole da rivelare come arte, alla fine, nientemeno che se stessa: vedi le borse a numerazione limitata del giapponese Murakami, designer di Vuitton, diventate, come per «mutazione genetica», prima feticci del fashion system e poi vere opere d´arte. Mentre l´italiano Cesare Pietroiusti fa tutt´altro: Tremila banconote (dollari Usa) trattate con acido solforico in distribuzione gratuita, incollate su una parete e realmente a disposizione del pubblico. Pezzi unici e autografati, ma con clausola scritta: se si usano come vero denaro non valgono niente. «Maleficio d´artista» che è in realtà un perentorio invito a individuare altrove che nei soldi il senso intrinseco dell´arte.
E tuttavia, osserva Franziska Nori, «che il gesto artistico possa darsi come autonomo dal mercato, non è che un´illusione», e del resto non è mai accaduto in nessuna epoca storica. Oggi, come Andy Wharol ha capito prima di tutti, si tratterà perciò di immettere nell´opera d´arte anche questo «valore aggiunto» di creatività, applicato alla promozione di se stesso e all´individuazione del proprio «prezzo», che non riguarda solo opere materiali, ma sempre più anche idee, tempo, performance, provocazioni. E di inviare i propri (temporanei) risultati ad un circuito di scambi globali. In cui, fra l´altro, l´antico ruolo di custodi e valorizzatori culturali dell´arte sarà sempre meno dei musei e delle istituzioni pubblici, e sempre più dei privati: gallerie, collezionisti, committenti. I più dotati, per l´appunto, di soldi.
(fonte: firenze.repubblica.it)
Re: Opere d'arte o prodotti? Il valore del "genio" in mostra
Denis Darzacq, "Hyper", 2007
Aernout Mik "Middlemen", 2001
Claude Closky, "Untitled (Nasdaq)", 2007
Luchezar Boyadjev, "GastARTbeiter", 2000-2007
Damien Hirst, "Grey Periodic Table Door", 1997-1998, dall'arredo del suo Pharmacy Restaurant di Londra messo all'asta dopo la chiusura
Damien Hirst, "A Lovely day", 1997-1998
Cesare Pietroiusti, "Tremila banconote (dollari americani) trattate con acido solforico, distribuite gratuitamente", 2008
Wilfriedo Prieto, "One Million Dollar", 2002
Dan Perjovschi, Site specific, 2008
Marco Brambilla, "Cathedral", 2008
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